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Immagine del redattoreRachele Trezzi

Siamo all'apertura, la vita cammina in punta di piedi

Spaziaria è il nome di questo progetto e qualcuno potrebbe chiedersi cosa si nasconda dietro questo termine un po’ impalpabile. I progetti, per definizione, non sono statici, si muovono, si evolvono, si trasformano. I progetti sono, in effetti, dei processi. Questo processo nasce da un verbo: spaziare.

Cosa significa in un contesto di disegno degli spazi abitati il verbo “spaziare”? Significa che ogni disegno, ogni progetto e rappresentazione dello spazio dovrà necessariamente poggiare sul senso primo della relazione umana con lo spazio abitato, ossia il fatto che noi, umani, ci muoviamo attraverso i luoghi che abitiamo. Siamo corpi in movimento che spaziano, che percorrono le proprie abitazioni e le creano percorrendole. “Lo spazio si apprende con infiniti cammini”, scriveva Bruno Zevi[1], riprendendo il concetto già espresso dal filosofo Martin Heidegger nel suo saggio “Costruire Abitare Pensare”[2]. Il senso di Spaziaria sarà, quindi, un disegno, o progettazione, dello spazio abitativo che parta dai corpi in cammino di chi lo vive. Questi corpi, va da sé, sono tutti differenti, sono peculiari, nelle loro storie, nelle forme, nei gesti, nelle fantasie e desideri. Questa corporeità densa dà forma agli spazi, e gli spazi accolgono tale corporeità, assecondandone, o ostacolandone, la fioritura. La relazione tra corpi e ambiente è quindi fondamentale per una corretta progettazione.

L’importanza della relazione, oltre che del movimento, mi porta all’altra parola inclusa nel titolo di questo progetto, vale a dire l’aria. Infatti, in Spaziaria sono almeno tre i fattori in gioco: lo spazio, il movimento e la relazione. L’aria esprime quest’ultima, capitale, dimensione. Si parla spesso di interazione tra spazio e persona, ovvero della loro relazione. Qui ci si propone di ripensare questa relazione, superando l’idea moderna che lo spazio e la persona siano entità separate, tra le quali, poi, in seconda battuta, si crei una relazione. Possiamo immaginarle come due terre emerse, separate dal mare, tra le quali venga poi costruito un ponte: l’interazione descrive cosa succede sul ponte. L’aria, invece, ci porta altrove. Stando nella metafora, l’aria ci porta a guardare sotto la superficie del mare, andando a fondo, sempre più giù, per scoprire la fondamentale realtà della connessione già sempre esistente tra le nostre terre emerse. Spazio e persona, in questa prospettiva, non sono che porzioni della più ampia crosta terrestre, già da sempre comunicanti nel fondale oceanico. Non si tratta quindi di frequentare il tratto di mare tra spazio e corpo in movimento, ma riscoprirne le radici nella loro connessione intrinseca. Non c’è lo spazio da una parte e il corpo in movimento dall’altra. C’è il loro darsi in relazione, e in questa relazione emergerà un certo tipo di spazio e certi tipi specifici di corpi in movimento. L’”infra”- in-between -, a differenza dell’”inter” – between- , non sta tra due terminali, non è un ponte, ma un flusso, un movimento di generazione e dissoluzione in un mondo in cui le cose non sono date prima di incontrarsi. L’”infra” è l’intreccio, è la danza nel suo avvenire, la collaborazione nel suo darsi. Questo, a livello pratico, di disegno degli spazi, significa che non si parte mai da zero. Disegnando si entra in una relazione che è già viva tra abitante e spazio abitato e si interviene in questa relazione. La progettazione protegge questo spazio di differenziazione, questo ritmo relazionale, andando a supportarne i caratteri potenzianti per la vita.  La speranza è di infondere in ogni progetto e diffondere lo stesso spirito di queste parole di Luce Irigaray:


L’aria, densità fluida che lascia spazio a ogni crescita. Materia che, non ancora divisa in se stessa, permetterà la condivisione. L’aria è dolce, carnale, silenziosa. Il suo toccarla ricorda il familiare. La felicità la abita. E’ di un azzurro luminoso, deciso ma tanto tenero. Fra terra e cielo, un soffio va e viene, congiungendo uno all’altra. Essere in lei, con lei, è sufficiente. Resta l’opera da compiere: una casa da costruire, un amore da inventare, uno spirito da coltivare.[3]

Benvenuti in questo luogo, qui comincia il viaggio.

 

 

 

 


[1] Zevi, B.,  Saper vedere l'architettura. Saggio sull'interpretazione spaziale dell'architettura (1948), Einaudi Editore, 1956.

[2] Heidegger, M., “Costruire, Abitare, Pensare” (1957), tr. it. a c. di G. Vattimo, in Saggi e Discorsi, Ugo Mursia Editore, Milano 2013, pp. 96-108.

[3] Irigaray, L., Essere Due, Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. 11-13.

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